La chiave privata è un codice identificativo del “wallet”, il portafoglio elettronico utilizzato per conservare le valute digitali, generata nella procedura di attivazione ed autenticazione per l’accesso, per permettere l’utilizzo delle criptovalute, a loro volta collegate a una chiave pubblica.
Quanto agli obblighi dichiarativi, le criptomonete sono assimilate a valute estere, quindi, il loro possesso deve essere indicato nel quadro relativo al monitoraggio fiscale degli investimenti all’estero e delle attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, della dichiarazione dei redditi.
È utile chiarire che cos’è e come funziona un “wallet” per criptovalute.
Il “portafoglio “elettronico” è, di fatto, un software che permette di accedere alle monete digitali, di scambiarle e di utilizzarle per le operazioni. Le criptovalute sono digitali, non hanno forma fisica e non sono immagazzinate in alcun luogo fisico. Il “wallet” non contiene le criptovalute, si limita a comunicare con le varie blockchain (i vari “registri digitali”) e interagisce con queste grazie a due codici: la chiave privata e quella pubblica.
In merito al principio di territorialità, si può giungere alla conclusione che l’obbligo di indicazione nel quadro RW non sussista ogni qualvolta la persona fisica abbia la disponibilità della chiave privata, che rappresenta il “mezzo” attraverso il quale la stessa persona manifesta la volontà di disporre delle criptovalute.
L’obbligo del monitoraggio fiscale non dovrebbe quindi realizzarsi nel caso in cui la persona fisica residente in Italia ha la disponibilità della chiave privata, posto che in questo caso il luogo di detenzione delle valute virtuali non può che risultare coincidente con lo Stato ove il contribuente risulta residente ai fini tributari. In tal caso, infatti, non si dovrebbe parlare in alcun modo di attività detenute all’estero.