Le persone fisiche residenti in Italia che detengono partecipazioni in società estere restano sempre molto perplesse quando viene loro spiegato che se incassano i dividendi per il tramite di una banca, una fiduciaria o altro intermediario finanziario italiano, la ritenuta del 26% prevista dall’art. 27, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 viene applicata sul dividendo al netto della ritenuta operata nello Stato estero dell’emittente, mentre se incassano il dividendo direttamente all’estero, senza l’intervento di un intermediario italiano, l’imposta sostitutiva da liquidare in sede di dichiarazione dei redditi è calcolata sul dividendo lordo, subendo, di fatto, una doppia tassazione (ritenuta operata nello stato estera – ritenuta operata in Italia).
Appare incomprensibile che l’entità delle imposte su una tipologia di reddito vari non in funzione della capacità contributiva espressa dal reddito stesso, ma dalle modalità con cui viene riscosso.
Ci si chiede, pertanto se la legge italiana sia o meno conforme al Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ed in particolare al principio della libertà di circolazione dei capitali (che si applica anche nei rapporti con Stati non appartenenti alla UE) e in particolare alla Direttiva 88/361/CEE in base alla quale le “operazioni effettuate da residenti presso istituti finanziari stranieri” (Allegato I, punto VI.B) – non dovrebbero essere soggette a un obbligo di canalizzazione presso intermediari finanziari italiani.
La “Commissione per l’esame della compatibilità di leggi e prassi tributarie italiane con il diritto dell’Unione Europea”, presso l’Associazione italiana dei dottori commercialisti ha quindi predisposto il testo di una denuncia d’ infrazione che sarà a breve trasmessa alla Commissione Europea.
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